ORIGINI
IL GIARDINO FARNESIANO
L’area verde a nord della zona dell’Oltretorrente, inclusa dalle mura cittadine e che abbiamo visto essere stata utilizzata nel Medioevo ad orto e frutteti e per l’insediamento del complesso conventuale di S. Michele degli Umiliati o del Bosco, cambierà radicalmente destino a partire dal secolo XIV ad opera dei Visconti, poi nel secolo XV con gli Sforza, ma soprattutto con la venuta a Parma della famiglia Farnese nel secolo XVI.
La zona, descritta nei documenti dell’epoca come ricca d’acqua (attraversata tra l’altro dal canale del Cinghio) e di verde (come dal toponimo “del Bosco”), subisce le prime trasformazioni sotto Bernabò Visconti: nel 1356 viene infatti realizzata una “Rocchetta” a difesa della testata ovest del ponte di Galeria (sostituito nel 1910, un po’ più a valle, dall’oggi esistente ponte Verdi) in corrispondenza di un’altra fortificazione realizzata a difesa della testata est.
E’ però con Galeazzo Maria Sforza, a partire dal 1471, che si procede, sempre nella stessa zona, alla realizzazione del Castello di Cò di Ponte, collegato da rivellino e camminamenti fortificati alla Rocchetta e quindi alla sponda ovest (attualmente occupata dal palazzo della Pilotta).
Nei pressi di tali fortificazioni viene poi segnalata un’altra costruzione (sicuramente antecedente al 1532), avente funzione assai diversa da quella difensiva. Si tratta di un palazzetto denominato “Casino” ed intitolato all’ultimo proprietario precedente i Farnese: Mons. Eucherio Sanvitale. Tale costruzione aveva probabilmente funzione di “otium”, immersa nel verde in una zona già inclusa nella cinta muraria. Pare, però, che all’epoca (fino al 1525) beneficiario dei terreni della prevostura presente nel monastero fosse il Cardinale Benedetto Accolti.
Un fatto è comunque documentato: il giorno 19 marzo 1561 Casino e orti vengono venduti da Mons. Eucherio Sanvitale al Duca Ottavio Farnese, anche se verranno ancora pagati al monastero alcuni affitti per terreni fino al 1566.
IL GIARDINO DUCALE
L’acquisizione nel 1561 dell’area nell’Oltretorrente da parte di Ottavio Farnese segna l’avvio del progetto per la realizzazione della residenza ducale e del Giardino.
Tutta la zona viene rapidamente trasformata: il castello in parte ampliato e sostituito dal palazzo (1561-64), il monastero e la prevostura degli Umiliati, ad eccezione della chiesa, abbattuti, mentre è mantenuto intatto il palazzetto Eucherio Sanvitale.
L’intento appare chiaro: creare un vasto complesso degno di una corte ducale cinquecentesca in una zona della città priva di insediamenti aristocratici e di governo: uno schiaffo al provincialismo della classe nobiliare locale che si era vista imporre dall’esterno il potere farnesiano.
Dai due principali documenti iconografici dell’epoca a noi pervenuti si può affermare che l’impianto del Giardino Farnesiano è un impianto caratterizzato dalle classiche regole del giardino all’italiana.
La planimetria prospettica Paolo Ponzoni (1572) evidenzia chiaramente un impianto chiuso da antiche e più recenti mura difensive, una sorta di classicheggiante hortus conclusus (non casualmente indicato in legenda come Giardino del Duca), al cui interno vige un rigido schema geometrico imperniato su due assi perpendicolari che definiscono quattro settori. Di questi tre sembrano avere funzione di giardino delle delizie arricchiti da geometrie di percorsi ed aiuole interne e da grigliati e padiglioni lungo i viali principali, mentre il terzo, per la modesta definizione, pare avere mantenuto una funzione produttiva.
L’icnografia di Smeraldo Smeraldi (1589-1592) ci fornisce una diversa immagine della sistemazione del Giardino, peraltro attendibile viste le analogie con le rappresentazioni dei progetti settecenteschi.
L’area appare sostanzialmente divisa in tre fasce:
- il settore est risulta ben dettagliato con parterre classici all’italiana (come quelli di Villa Medici a Roma e Villa d’Este a Tivoli), con impianto botanico a tracciato curvilineo o a scacchiera ed ancora evidenziata la planimetria della chiesa di S. Michele in Bosco;
- il settore ovest presenta una platea verde ellittica circondata da una fitta orditura di alberi;
- il settore centrale infine non viene descritto nei dettagli e questo fa supporre un uso utilitaristico del terreno (orto e frutteto).
I documenti storici segnalano poi un ulteriore significativo intervento sul Giardino (eseguito dopo la stesura delle due iconografie sopra citate) in occasione dei festeggiamenti per le nozze di Odoardo Farnese con Dorotea Sofia Neuburg avvenuti tra il 17 maggio ed il 5 giugno 1690.
Si tratta della creazione della peschiera nel perimetro a parterre ellittico segnalato nella zona ovest dallo Smeraldi, utilizzata per giochi d’acqua, naumachie e rappresentazioni con effetti speciali in occasione delle feste e spettacoli di cui il Giardino era luogo e scenario con i propri parterres, recinti à treillage , padiglioni, voliere per uccelli esotici e serragli per fiere.
Il Giardino Farnesiano racchiude dunque in se le tipiche funzioni e componenti del giardino della corte all’italiana del XVI e XVII secolo: la rappresentanza, l’autocelebrazione, l’arte, la cultura, la capacità di suscitare meraviglia, di accogliere spettacoli e feste, ma anche di offrire spazi per la meditazione o l’intimità dei Signori, come il verde mistico e le stanze verdi.
IL GIARDINO BORBONICO - La transizione dai Farnese ai Borbone
Esauritasi agli inizi del XVIII la dinastia dei Farnese (1731) e con il passaggio dei loro beni nelle mani borboniche, per tutta la prima metà del secolo si assiste ad un processo di progressivo degrado dell’area del Giardino dovuto sia all’abbandono della sede ducale di don Carlo di Borbone (divenuto re di Napoli nel 1736 e là trasferitosi), ma soprattutto alle guerre contro l’Austria e alla conseguente prolungata occupazione da parte delle truppe nemiche.
Tale evento degrada il Giardino ad una funzione utilitaristica di livello quasi primitivo, infatti, nonostante le formali proteste delle autorità locali, gli alberi d’alto fusto vengono abbattuti per rifornire di legna da ardere l’accampamento dell’esercito austriaco.
Una planimetria di Guglielmo de La Haye, segnala comunque, alla data del 1745, la scomparsa del precedente impianto farnesiano del giardino e dei viali alberati e la formazione di tre distinti settori, forse risultato dell’abbandono e delle spoliazioni oppure fase intermedia di lavori di recupero già in corso:
- il settore ovest è caratterizzato da uno specchio d’acqua con un perimetro irregolare e poco definito, con una possibile funzione utilitaristica di bacino idrico a scopo irriguo e forse anche di allevamento ittico;
- il settore centrale, nel quale è segnalata la presenza di una fitta alberatura, può apparire come un’ampia zona destinata ad orto e frutteto per la fornitura alimentare;
- il settore est pare invece mantenere la funzione decorativa a giardino delle delizie essendo caratterizzato da vialetti e parterre geometrici.
I PROGETTI
Alla metà del secolo XVIII, con don Filippo di Borbone ed un periodo di relativo equilibrio politico ed economico, rinasce l’interesse dei regnanti per il Giardino, mossi da rinnovate esigenze di fasto della corte. Il ministro Guillaume Du Tillot è perciò incaricato della individuazione del progetto per la realizzazione delle opere di recupero e trasformazione dell’area verde. Si assiste dunque, tra il 1752 ed il 1767 alla produzione di più ipotesi di intervento che porteranno poi alla concreta realizzazione del nuovo impianto con uno spiccato gusto “moderno” alla francese.
Tra le proposte progettuali più significative (non fosse altro per la qualità degli elaborati grafici giunti fino a noi) bisogna ricordare quella dell’architetto transalpino Pierre Contant d’Ivry (1752-1753).
Tale ipotesi prevedeva principalmente la creazione di una passeggiata alberata a boulevard sulle mura di perimetro dell’area, mentre all’interno la riproposizione delle tre zone preesistenti con la seguente sistemazione:
- il settore est aveva una funzione principalmente celebrativo-rappresentativa con parterre e viali geometrici;
- il settore centrale manteneva la funzione produttiva di jardin fruitiers et potagers (orto e frutteto);
- il settore ovest invece era caratterizzato da una funzione di jardin de plaisance (giardino delle delizie) composto da un boschetto, sale verdi, la sistemazione “a segreto” del bastione di nord ovest accessibile con una scalinata, la sistemazione della peschiera con un tempietto nell’isola centrale.
I tre settori erano poi messi tra loro in relazione da viali (con funzione di cerniere laterali), ingressi (con funzione di nodi e di cerniere) ed arredati con spalliere verdi (funzioni distributive), padiglioni e sale verdi (funzioni di riferimento).
In sostanza il d’Ivry applica con un certo rigore le regole del giardino alla francese (con richiami alla Versailles di Le Nôtre), ma con la significativa eccezione della destinazione utilitaristica del settore centrale a jardin fruitiers et potagers. Per i restanti due settori prevale comunque la funzione di piacere da mostrare e far godere ai cittadini ed agli ospiti illustri, prodromo di quello che di lì a qualche decennio diventerà il Giardino Pubblico.
Forse proprio per l’eccessivo spazio e la collocazione destinati dal d’Ivry alle funzioni utilitaristiche nel settore centrale, il progetto viene accantonato e ne verranno proposti diversi tra cui quelli di François Anquetil detto De Lisle (autore del giardino di Colorno), Alfonso Taccoli (1764) ed altri anonimi (forse dello stesso Petitot), fino all’individuazione di quello definitivo del 1767.
LA REALIZZAZIONE
Il progetto definitivo, che poi verrà effettivamente realizzato, appartiene all’architetto di Corte e di Stato Ennemond-Alexandre Petitot (1767) che, pur non dimentico delle preesistenze e dei progetti concorrenti, risolve la sistemazione di alcuni elementi in forma del tutto originale. L’impianto propone ancora la divisione in tre settori principali tutti aventi la funzione di rappresentanza e celebrazione della corte borbonica:
- il settore est viene abilmente risolto con un semi-étoile a dieci braccia collegate all’estremità esterna da un viale circolare e al centro da un parterre à rondpoint;
- il settore centrale è caratterizzato da un viale mediano longitudinale che smista una serie di parterres, boschetti, sale verdi, boulingrins, ed altri spazi a forma rettangolare;
- il settore ovest ripropone la peschiera, ma con l’isola lasciata a verde con piantumazione d’alto fusto e le scalinate sul perimetro murario, per superare il dislivello ed accedere ai bastioni.
Di seguito il Giardino viene corredato da una serie di arredi scultorei statue, gruppi e vasi dell’artista Jean-Baptiste Boudard, che caratterizzano le estremità dei viali, o focalizzano il centro delle aiuole à broderie, creando nuove prospettive e suggestioni.
Il completamento dell’opera ed il raggiungimento del periodo di massimo splendore del Giardino coincide con la celebrazione delle nozze di don Ferdinando con l’archiduchessa d’Austria Maria Amalia (1769) e con la costruzione del Tempietto d’Arcadia fuaglallestiper le feste e gli spettacoli organizzati per l’occasione.
Il Giardino del Petitot sancisce dunque un impianto alla francese che giungerà, seppur degradato ed in parte alterato, fino alle soglie del XXI secolo e che verrà preso a riferimento e completamente recuperato con il successivo recente intervento di restauro.
IL PARCO DUCALE
Nel XIX secolo, sotto il governo dell’archiduchessa d’Austria Maria Luigia, l’antico Giardino Ducale, sistemato nella seconda metà del secolo precedente dal Petitot, comincia a subire una serie di interventi mai strutturali o di impianto, ma dettati in parte da necessità di manutenzione e conservazione, in parte da necessità funzionali e di fruizione, spesso utilitaristiche, che porteranno il complesso ad una trasformazione diffusa giunta al culmine alla fine del XX secolo, prima che l’intervento di restauro riportasse il luogo ad una situazione il più possibile prossima a quella originale borbonica.
Tra il 1838 ed il 1840 si assiste all’esecuzione di opere di restauro murario al catino della peschiera ed alle scale di accesso ai camminamenti sui bastioni oltre che al Palazzo, ma anche ad opere di rinnovo dell’alberatura del Giardino e dell’arredo (palizzate al posto dei grigliati).
Contestualmente si adeguano e si ampliano zone e strutture di servizio o a funzione utilitaristica segnalate anche nella pianta della città prodotta da Pietro Mazza nel 1850 per fini catastali: si costruisce l’orangerie (nel 1840, poi demolita nel 1905 per permettere l’ingresso sul lato est), si realizzano le serre ed il giardino per la coltivazione dei fiori, l’abitazione del Capo Giardiniere, si amplia il jardin fruitiers et potagers nella zona retrostante il Palazzo con un impianto di stampo inglese come riportato nelle planimetrie (1841), si costruisce il foro boario (1837).
Il Giardino ed alcune delle sue strutture assumono sempre più la caratteristica di spazi pubblici, per visite da realizzarsi in occasione di particolari manifestazioni (come il caso di quelle botaniche).
A questo periodo fanno seguito due eventi di particolare interesse che traghetteranno il Giardino in maniera definitiva nel nuovo contesto storico ed urbanistico dell’età moderna: la cessione del Giardino al Comune di Parma (15 settembre 1865) con la conseguente definitiva apertura del Parco al pubblico e la demolizione del perimetro fortificato della città (1907).
Da questo momento la fruizione del verde sarà permessa a tutta la cittadinanza ed assumerà funzioni in parte assai diverse da quelle originarie, ma anche la percezione derivante dalla diversa perimetrazione del Giardino sarà sostanzialmente differente da quella antica.
La demolizione di mura, bastioni e terrapieni e lo riempimento delle valli di difesa (ad opera dell’Amministrazione del sindaco Mariotti) oltre che ad avere valenza notevole su scala urbanistica, per ciò che riguarda il Giardino portano alla perdita dell’articolazione sui due livelli, del bastione dell’angolo nord ovest, e della percezione dello spazio come luogo chiuso (hortus conclusus).
Tra il 1905 ed il 1908 si assiste poi alla sistemazione dei terreni dei rampari demoliti ed alla sostituzione degli stessi con delle recinzioni, alla formazione di nuovi viali alberati ed al cambiamento di pianta e quota di molte aiuole, ma anche alla sistemazione degli ingressi: ad est viene abbattuta l’orangerie e creato l’ingresso in asse con il nuovo Ponte Verdi (a sostituzione di quello di Galeria); a nord ovest, rimasta esterna l’area dell’ex bastione, viene creato l’ingresso a raso su via Pasini; a sud ovest scompare lo scalone attiguo a Porta S. Croce precedentemente rifatto sotto Maria Luigia.
Il risultato, analizzato dal punto di vista della conservazione del complesso, è devastante: variazione quantitativa e qualitativa del traffico (da quel momento vennero anche asfaltati i viali), perdita della percezione di luogo, rottura di un equilibrio tra Giardino e città che si era consolidato nel corso di circa quattrocento anni.
Anche le funzioni mutano, vengono organizzate manifestazioni fieristiche con allestimento di padiglioni permanenti sul lato nord, o altri temporanei (come per la famosa mostra agricola del 1913 per il centenario della nascita di Giuseppe Verdi), fortunatamente non vengono realizzati i bagni pubblici ipotizzati in un progetto del 1893 che avrebbero occupato la zona sud est, ma si assiste ugualmente ad una significativa manomissione delle aiuole, ad un degrado dei boschetti, alla perdita di numerose piante (per la ridotta capacità di aerazione degli apparati radicali causata dal calpestio eccessivo).
Agli inizi del ‘900 si segnala infine la posa della fontana del Trianon nell’isolotto della peschiera dopo tormentate vicende (realizzata per la reggia di Colorno nel 1714 fu posta al fronte del Teatro Reinach nel 1883).
Il secolo XX si conclude dunque con la faticosa ricerca di un problematico equilibrio tra fruizione del Giardino e conservazione del patrimonio storico e biologico in esso racchiusi. Eliminate quasi del tutto le funzioni produttive (aranciaia, frutteto, serre, orti, foro boario), limitate quelle di rappresentanza (mostre e manifestazioni), il Giardino si presenta come luogo idoneo ad accogliere funzioni di relazione sociale, relax e tempo libero, a soddisfare le sempre più pressanti esigenze psico-fisiche di natura in città ed al contempo di conservazione della memoria.
Fonte: www.bodoni.pr.it